giovedì 29 luglio 2010

Acqua ai Castelli Romani: una risorsa in estinzione

È oramai quotidiano l’allarme acqua nei Comuni dei Castelli Romani. Ogni giorno la stampa locale ne riporta notizia. Velletri, Albano, Genzano, Nemi, Lariano: questi alcuni dei comuni più colpiti dai problemi legati alla penuria d’acqua. Si allarga sempre di più la mappa del malessere provocata da disservizi, sospensioni e razionamento dell’erogazione di acqua; un’emergenza sempre più pressante che sta provocando disagi a non finire alla popolazione castellana.

Quella dell’acqua nei Castelli Romani è un’emergenza ampiamente annunciata. Sono anni che associazioni ambientaliste, supportate da studi ed analisi scientifiche, lanciano allarmi e palesano esortazioni nei confronti di amministrazioni pubbliche e istituzioni che però, puntualmente, restano inascoltati.

D’altra parte l’evidenza visiva della sempre maggiore penuria di acqua è rappresentata dall’innegabile abbassamento del livello delle acque dei laghi vulcanici Albano e Nemi. Un fatto inconfutabile!
Secondo uno studio del 1999 commissionato dalla Regione Lazio, nei Castelli Romani, su un fabbisogno idrico di 65 milioni di metri cubi di acqua necessari ogni anno a soddisfare le esigenze umane, solo 33 milioni vengono ricaricati in falda dalle piogge. Gli altri 24 milioni necessari vengono da apporti esterni. Questi dati sono del 1999; ad oggi la situazione può solo essere peggiorata ed appunto gli allarmi e le proteste di questi giorni lo stanno a testimoniare.

Ricercare i motivi che stanno alla base di questo squilibrio è semplice come rispondere alla domanda: “di che colore era il cavallo bianco di Napoleone”. Il prelievo dalla falda acquifera dei Castelli Romani ad opera dell’uomo, è maggiore di quanto i cicli naturali ci mettano a rigenerare la falda stessa. Detto in altre parole, decenni di politiche scellerate di gestione territoriale, caratterizzate da una esasperata edificazione, hanno moltiplicato la popolazione (350.000 abitanti nei Castelli Romani), contraendo spazi all’ambiente naturale, sottraendo risorse come, appunto, l’acqua. Per trovarla occorre scavare pozzi finanche a 600 metri, oppure “importare” l’acqua dal bacino del Simbrivio. Ma anche lì l’eccesso di prelievi si fa sentire e sta creando problemi enormi (per maggiori dettagli http://www.terranews.it/news/2010/07/l’aniene-rischia-di-scomparire)

I nodi sono venuti al pettine! Continuare a mettere la testa sotto la sabbia per non vedere, come è abituata a fare la politica minuscola, servirà solo ad esasperare ancora di più una situazione difficile e ad esacerbare gli animi della popolazione.

C’è solo una cosa da fare: fermare l’edificazione! I Sindaci e i Consigli comunali dei Castelli Romani dovrebbero assumere formalmente atti che coniughino scelte di gestione territoriale a volumetria invariata; vale a dire niente nuove edificazioni ma riqualificazione del patrimonio edilizio esistente. Non ci sono scorciatoie o altre illusorie politiche di gestione, magari di “sviluppo sostenibile”. Sono vent’anni che il lessico politico ciancia di “sviluppo sostenibile”; domandiamo è stata “sostenibile” la gestione della risorsa acqua? Non pare proprio!

E invece la classe politica continua a non fare assolutamente nulla. L’autorità maggiore della regione, l’assessore all’Ambiente della Regione Lazio Marco Mattei, che pure è espressione locale, brilla per la sua assenza e per il silenzio tombale. Sembra incarnare la trinità “non vedo”, “non sento”, “non parlo”, ma alla fine quello che rimane è “non faccio”!

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