giovedì 24 giugno 2010

Et voilà, i parchi spariscono

Leggiamo dal sito del parco dei Castelli Romani un post piuttosto inquietante. Il linguaggio è calibrato e composto, ma la sostanza sembra dirompente: il parco ferma le sue attività!

Con qualche approfondimento neanche troppo complicato è stato facile appurare che la Regione Lazio ha tagliato i bilanci dei parchi, di tutti i parchi, grossomodo della metà. I parchi rappresentano, in termini di spesa, meno di un duecentesimo del sistema sanitario regionale. Se ben gestiti possono dare lavoro e produrre vantaggi economici, oltre a tutelare l’ambiente. Nel caso dei Castelli Romani le stime sui ritorni economici sono state calcolate, rese pubbliche, e sono positive. Allora perché si taglia con l’accetta e in maniera indifferenziata in un settore così interessante e che richiede risorse così esigue per funzionare?

La crisi economica, prima negata (ci ricordiamo tutti quando fino a poco tempo fa il premier affermava che era solo una sensazione psicologica), poi appena ammessa e ora pienamente conclamata, ha imposto una generale revisione dei modelli di spesa. Ancora oggi si proclama che “non metteremo le mani nelle tasche degli italiani”, ma il taglio dei finanziamenti a Regioni e Comuni lascia ben poco margine se non quello di tagliare i servizi corrispondenti. Primo imputato sul banco degli sprechi il servizio sanitario, tra le ultime voci di spesa quella del sistema dei parchi. La Regione Lazio, con una Giunta che ha subito un rimpasto dopo un paio di mesi dalle elezioni e che di fatto non ha ancora cominciato a lavorare (!) almeno una cosa però l’ha fatta: tagliare le risorse ai parchi. Chissà se l’assessore all’ambiente lo sa e se sì, chissà se ha qualcosa da dire e se sì, sarebbe interessante sapere che cosa. Il dubbio infatti è che sia d’accordo. Favorevoli alla lotta agli sprechi lo siamo tutti, al taglio indiscriminato no. Favorevoli alla riduzione delle spese lo siamo in molti, alla riduzione nei settori strategici o sperimentali no.

Nel 2000, nel programma della Giunta Storace era prevista la riduzione dell’estensione dei parchi. Il governatore lo aveva detto, ne aveva fatto un motto della sua campagna e lo aveva promesso ai cacciatori suoi elettori. Alla prova dei fatti Storace commissionò un’indagine per orientarsi meglio e scoprì l’ovvio: ossia che l’ambiente era percepito positivamente dalla maggioranza dei cittadini, senza troppe differenze tra destra e sinistra. Questo lo illuminò sul perché tutti gli sforzi della maggioranza di centro destra di allora si arenavano regolarmente contro ampie resistenze sociali. Se ne fece una ragione e si dedicò ad altro: per esempio a vendere gli ospedali pubblici. Questa bella mossa è la ragione primigenia per cui ora la Regione Lazio accusa uno dei deficit più spaventosi nel panorama dei servizi sanitari in Italia. Alla fine, per paradosso, Polverini mette in atto l’obiettivo di Storace di ridurre i parchi, ma non più in termini di estensione territoriale, non si tratta più di una dimostrazione di potere muscolare autocompiaciuta ed esibita come nel carattere del personaggio Storace. L’azione della ex sindacalista è molto più pacata, quasi sobria, presentata con le stimmate dell’ineluttabilità: i parchi si strangolano per asfissia creditizia. Chiudo i rubinetti dei finanziamenti previsti per legge (e basta con ‘ste leggi, se non vi sta bene le cambio) e l’ambiente verrà finalmente valorizzato, ma come anela da anni il costruttivismo sviluppista. Del resto gli alberi non votano.

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