giovedì 19 agosto 2010

Il pianeta blu è in “rosso”

Alcuni quotidiani in questi giorni hanno riportato la notizia: il 21 agosto gli esseri umani avranno già consumato tutte le risorse che la natura è capace di fornire in un anno. Le risorse del pianeta non sono “infinite” ma hanno un limite. Se si prelevano dal mare più pesci di quanto la natura sia capace da sola di riprodurre, se si preleva dalle falde più acqua di quanto il ciclo naturale sia capace di rigenerare, se si producono più rifiuti di quanto si è capaci di smaltire in un anno, se con le attività umane si emette più CO2 nell’aria di quanto i boschi riescano a compensare emettendo a loro volta ossigeno (a titolo di esempio: ogni volta che bruciamo un litro di benzina abbiamo bisogno di 5 metri quadrati di foresta, per un anno, per assorbire il CO2) e via di questo passo, allora, agendo in questo modo, si manda “in rosso” il bilancio ecologico. Quest’anno, con un anticipo di quattro mesi, andremo “in rosso” dal 22 agosto. In altre parole l’umanità oggi consuma circa il 30 percento in più della capacità di rigenerazione del pianeta.

La notizia non è da poco; l’ha fornita il Global Footprint Network, un’organizzazione internazionale che misura il nostro impatto sul pianeta o, come viene definita, la nostra impronta ecologica. È stata ripresa da alcuni quotidiani nazionali (nessun telegiornale), ma considerando l’importanza che una notizia del genere assume, il suo impatto comunicativo sull’opinione pubblica non è stato, diciamo così, tangibile.

Vediamo meglio di cosa stiamo parlando. Considerando la superficie utile del pianeta, prendendo in considerazione le materie prime, l’energia e la superficie necessaria per assorbire i rifiuti della produzione e del consumo, aggiungendo l’impatto di habitat ed infrastrutture, dividendo il tutto per il numero degli abitanti della Terra, è stato calcolato che ognuno di questi ha necessità di uno spazio bioriproduttivo di 1,8 ettari. In realtà, al ritmo dei nostri attuali consumi, utilizziamo 2,2 ettari procapite. Tuttavia questa media nasconde enormi disparità. Un cittadino degli Stati Uniti consuma 9,6 ettari, uno canadese 7,2, un europeo 4,5. Se tutta l’umanità vivesse come gli americani ci vorrebbero sei pianeti.

Questi sono i dati e i fatti, ma sembrano fatti lontani che non ci preoccupano più di tanto, che tutt’al più aiutano a riempire qualche pagina dei nostri giornali nel periodo agostano nel quale le notizie scarseggiano. Per non parlare della sensibilità che la politica mostra verso questi temi, praticamente zero, non c’è stato un commento che fosse uno.

In un suo recente libro Serge Latouche, professore emerito di scienze economiche dell’Università di Paris-sud scrive:
Dire che una crescita infinita è incompatibile con un mondo finito e che le nostre produzioni e i nostri consumi non possono superare la capacità di rigenerazione della biosfera sono ovvietà su cui non è difficile trovare consensi. Ma molto più difficile è trovare consensi sui fatti incontestabili che quelle produzioni e quei consumi devono essere ridotti e che la logica della crescita sistematica a 360 gradi deve essere rimessa in discussione, insieme al nostro stile di vita. Se poi si indicano i principali responsabili della situazione esistente, si cade subito sulla blasfemia.” Ecco, Latouche descrive bene il contesto di rarefazione culturale, di disinteresse etico, di indecenza politica nel quale ci troviamo a vivere.

Intendiamo tornare su questi argomenti, parlare dei danni e delle disparità sociali di cui è causa lo sviluppo, della schizofrenia della crescita per la crescita, del PIL simbolo della religiosità economica e introdurre concetti come decrescita, benessere, convivialità, sobrietà. Ci sembra importante fare qualcosa, anche una piccola cosa, come raccontare e far circolare conoscenza, pur nei limiti che ognuno ha e senza alcuna pretesa. Tante piccole cose insieme fanno qualcosa di importante e noi non resteremo a guardare.

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