sabato 18 settembre 2010

Critica alla “Società della Crescita” - 1

“Sviluppo”: una parola tossica

Ogni qual volta si interroga qualche politico - locale o nazionale, di destra o di sinistra – sulle misure da prendere per la crisi economica, il concetto espresso come soluzione di tutti mali è racchiuso nella parola magica “sviluppo”: “occorre rilanciare lo sviluppo”, oppure “non si supera la crisi senza una politica di sviluppo”, e via così. Si tratta molto spesso di frasi banali, pronunciate acriticamente, più che altro ridondanze mediatiche, ma attestano il fondamento del modello economico capitalistico (o turbo capitalistico come qualcuno lo definisce). Questo fondamento è la crescita continua; se non si cresce si muore: disoccupazione, licenziamenti, crollo delle borse, insomma l’abisso. Ed in effetti è proprio così.
La nostra è un’economia patologica, il nostro è un destino malato: se il mondo che ci siamo creati, questa società dell’opulenza occidentale, vuole mantenersi la sua economia ha un imperativo categorico: crescere, crescere, crescere. Il misuratore di questa ossessione è il P.I.L. (Prodotto Interno Lordo): il Pil deve essere sempre con il segno più, altrimenti sono guai.

Ma si può crescere infinitamente in un pianeta “finito”? Secondo la semplice logica no, perché un pianeta finito ha risorse limitate: aria, acqua, suolo, pesci del mare, alberi, territorio, sono risorse che hanno nei limiti fisici del pianeta la loro stessa finitezza. D’altra parte la politica “sviluppista” esige che la gente spenda soldi per comprare cose cioè per consumare; per comprarle le cose bisogna costruirle, per costruirle occorre utilizzare materie prime (le risorse appunto) che, come abbiamo detto, non sono infinite. Quanto potrà andare avanti un modello economico di società che si basa su questo evidente paradosso?
Afferma Paolo Cacciari: L’uomo contemporaneo vede la propria crescita personale sotto forma di accumulazione privata di beni. Il benessere è iscritto nella crescita; il progresso della condizione umana nello sviluppo delle capacità produttive. Così siamo stati indotti a concepire le cose. (Paolo Cacciari - Decrescita o Barbarie - Edizioni Carta)

Vediamo come si costituisce questo sviluppo; e quanto pesa sulle risorse del pianeta terra e sulla vita della gente che lo abita! Sintetizza in modo impeccabile Serge Latouche nel suo “Breve trattato sulla decrescita serena” edito da Bollati Boringhieri:
La superficie della terra ammonta a 51 miliardi di ettari. Lo spazio “bioproduttivo”, cioè utile per la nostra riproduzione, è di circa 12 miliardi di ettari. Divisa per la popolazione mondiale attuale, questa superficie dà approssimativamente 1,8 ettari a persona. Prendendo in considerazione i bisogni di materie prime e di energia e le superfici necessarie per assorbire i rifiuti della produzione e del consumo (ogni volta che bruciamo un litro di benzina abbiamo bisogno di 5 metri quadrati di foresta per assorbire il CO2!) e aggiungendo l’impatto dell’habitat e delle infrastrutture necessarie, i ricercatori dell’istituto californiano Redifining Progress e della World Wild Foundation hanno calcolato che lo spazio bioproduttivo consumato pro capite dalla popolazione mondiale è in media di 2,2 ettari. Dunque gli uomini hanno abbandonato da tempo il sentiero della civiltà sostenibile. Inoltre, questa impronta media nasconde disparità enormi. Un cittadino degli Stati Uniti consuma 9,6 ettari, un canadese 7,2, un europeo 4,5, un francese 5,26, un italiano 3,8. L’umanità già consuma circa il 30% in più della capacità di rigenerazione della biosfera. Se tutti vivessero come i francesi ci vorrebbero tre pianeti, e sei i pianeti che necessiterebbero se tutti vivessero come i nostri amici americani.

Dunque lo sviluppo strema il pianeta e per di più con una fortissima disparità tra Nord e Sud del mondo. Come si distribuisce la ricchezza? Se il mondo fosse un palazzo di cinque piani, abitato da cento persone suddivise in gruppi di venti per piano, scopriremmo che gli inquilini dell’attico arraffano, da soli, l’86% della ricchezza prodotta. Quelli del piano di sotto si appropriano del 9%, mentre quelli dei due successivi ricevono il 2% ciascuno. Infine, quelli dello scantinato devono accontentarsi di circa l’1% (Francesco Gesualdi “Sobrietà” editore Feltrinelli). Lo sviluppo, dunque, è non solo ecologicamente ma anche eticamente insostenibile.

Un’analisi della distribuzione del reddito ci permette di cogliere ulteriori inquietanti aspetti. Sul pianeta le persone che vivono con meno di 700 dollari l’anno sono circa tre miliardi; la metà della popolazione mondiale e vivono tutti nel sud del mondo. Coloro che vivono con un reddito che va dai 700 ai 7.500 dollari l’anno sono circa due miliardi e si trovano prevalentemente nel sud del mondo. Tuttavia circa 300 milioni di questi vivono nell’opulento Nord. Coloro che hanno un reddito pro capite di oltre 7.500 dollari annui sono poco più di un miliardo. Questi e molti altri dati si possono trovare nel libro di Francesco Gesualdi sopra citato.

Non crediamo serva commentarli. Ci sembrano talmente chiari che si commentano da soli; però può essere utile rifletterci sopra. Lo “sviluppo” è anche questo con tutte le conseguenze che ha prodotto sulle cose e sulle persone. È ora di ripensarlo e di rimetterlo in discussione. Prossimamente continueremo a parlarne e parleremo anche delle linee di pensiero che lo criticano cercando di proporre nuove prospettive. Alla prossima puntata.

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